In un mondo lacerato da guerre fratricide – persino nella terra bagnata dal sangue di Gesù – Lui, proprio Lui, torna ad entrare. Senza scandalizzarsi dei tradimenti, dei peccati, della durezza di tanti suoi figli. Entra a Gerusalemme come Re umile e vittorioso. Entra su un asinello. Scardinando ogni ideologia che vede il potere come imposizione violenta. E inaugurando un nuovo modo di regnare: amando. Quanto la nostra società ha compreso questo esempio? Quanto lo comprendiamo noi, suo popolo? Eppure Lui, con instancabile fiducia, torna ad immolarsi proprio per quel mondo indurito e ostile che continua a crocifiggerlo con falsità, guerre, divisioni. Rispondendo al male con la giustizia. Alla guerra, con la pace.
“Osanna al Figlio di Davide!”. Così abbiamo acclamato Gesù nella Domenica delle Palme. Ma perché proprio questo titolo? E da chi Gesù l’ha ereditato? Ecco che si staglia, come scintilla luminosa a squarciare il cielo quaresimale, la figura umile e maestosa di san Giuseppe. È infatti così che lo chiama l’angelo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù (cfr. Mt 1,20-21)”. Se Gesù, in quanto Dio, è Re del Cielo della Terra, come uomo è re secondo la stirpe di Davide. E lo è soprattutto grazie al “sì” di Giuseppe. Che lo ha accolto come figlio, donandogli la discendenza davidica, e quindi regale: “II Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" (Lc 1,32-33).
E davvero regale doveva essere il contegno di san Giuseppe, pur nella radicale povertà della sua condizione sociale. A lui abbiamo guardato nella solennità del 19 marzo. Nella solenne concelebrazione, p. Santo ha ringraziato in modo speciale il Signore per il dono di p. Francesco Iermito e p. Francesco Vivona, nel loro secondo anniversario di ordinazione presbiterale. E ha presentato san Giuseppe come «cerniera di chiusura e di apertura». Chiusura dell’Antico Testamento, sulla scia dei grandi patriarchi e profeti, di cui è l’ultimo e più eminente rappresentante. E apertura, «perché con lui si apre un’era nuova, all’insegna della fede, speranza e carità vissute in una dimensione evangelica. Grazie alla presenza di Gesù e alla profonda comunione con l’Immacolata». Una dolcissima armonia, ben descritta dal grande quadro che campeggia sul presbiterio della nostra cappella. Che raffigura Gesù, Giuseppe e Maria come «racchiusi tutt’e tre in un unico cuore: il cuore di Dio. Come unica è la missione a cui sono stati chiamati».
Nel corso della celebrazione è stato costituito anche il gruppo degli “Amici di san Giuseppe”. Circa 80 laici che hanno iniziato un cammino di più profonda conoscenza di questo grande santo, consacrandosi a lui. La gioia si è prolungata con la cena di beneficenza organizzata dalla nostra comunità. Al gusto dei cibi preparati con cura da un’equipe di Fratelli e Sorelle si è aggiunto il calore della fraternità, che ha raggiunto i nostri ospiti attraverso il servizio ai tavoli, l’accoglienza e l’allegra animazione durante il pasto. Una serata indimenticabile, che molti non vedono l’ora di ripetere. Abbiamo fatto famiglia. Rivivendo in un certo senso il clima di affettuosa convivialità della Sacra Famiglia di Nazareth, dalle porte sempre aperte per ogni fratello.
L’ultimo tratto di cammino quaresimale ci ha infine introdotti nella Grande Settimana. Aperta solennemente dalla Domenica delle Palme. In cui il “Figlio di Davide” è stato acclamato come re di giustizia e di pace (cfr. Sal 72). Gioia e dolore, festa e pianto si intrecciano in questo giorno santo. Nel chiaroscuro misterioso che è il cuore umano. Pronto a trasformare presto l’“Osanna” in “Crocifiggilo”. È il grido assurdo, inspiegabile di un popolo che da sempre è stato di dura cervice, ribelle alla legge del Signore, nonostante i grandi prodigi da Lui compiuti. Ma in fondo, anche noi siamo così. «Non siamo migliori di quel popolo ingrato», ha osservato p. Francesco. «Infatti anche noi siamo pronti ad abbandonare Gesù non appena si presenta una prova, un imprevisto, o semplicemente le cose non vanno come vorremmo».
A questa resistenza del cuore Gesù risponde con un solo segno: quello dell’umiltà. «Il suo ingresso su un asinello mostra la vacuità di ogni acclamazione umana che non sia fondata sull’amore e sul servizio». E ci sembra già di ascoltare lo straziante grido del Venerdì Santo: “Popolo mio, che male ti ho fatto?” (cfr. Mi 6,3). Ma alla follia della cattiveria umana, Lui risponderà con una follia tutta divina: quella della sua inesauribile misericordia.
Accompagnati dalle parole di p. Santo Donato, viviamo questi giorni di grazia contemplando il Crocifisso: «La settimana santa è fuoco, cioè amore. È passione, sete di Cristo per la salvezza dell’umanità. Allora guarda Gesù crocifisso! Il crocifisso è una calamita d’amore. Perché tu guardando a Lui vieni attirato al suo amore: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32)».