Una sola candela accesa può accendere cento candele spente. Ma cento candele spente non possono accenderne neppure una. Questo detto della sapienza popolare ci ricorda una grande verità. Siamo chiamati ad essere luce. A lasciarci accendere dalla luce di Dio. Per poter accendere tanti, tanti altri cuori attorno a noi. Questo abbiamo celebrato nella solennità della Presentazione di Gesù al Tempio. Che popolarmente viene chiamata “Candelora”. Proprio per ricordare Colui che è venuto come “Luce del mondo” (Gv 8,12). Una luce che ancora oggi ci interpella. Ci scomoda, forse. E ci chiede di essere accolta. Perché chiunque segue Lui “non rimanga nelle tenebre ma abbia la luce della vita” (cfr. Gv 8,12).

Decisamente escatologico il taglio della catechesi mattutina di p. Santo Donato. Che ha approfondito le parole profetiche del vecchio Simeone: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele” (Lc 2,29-32). E ha commentato: “Anche i nostri occhi vedranno la luce. In due momenti. Prima su questa terra; ma sarà sempre una luce tenue, non piena. Una luce che ci aiuterà ad affrontare le tempeste della vita. E poi vedremo la luce in tutta la sua pienezza: al momento della nostra morte. Sì, vedremo la luce che è Dio, in una vita eterna che non passerà mai!”.

Ma come fare per vedere la luce già su questa Terra? Prendendo esempio da Simeone. Che per tutta la vita ha atteso il Messia. «La vita cristiana è un attendere il Signore che viene nella tua vita. Viene a rafforzarti, ad illuminarti, a darti discernimento su ciò che è buono e ciò che è cattivo. Noi però siamo talmente egoisti e fragili che, pur dicendo di credere, non ci impegniamo crescere nella fede. Gli anni passano e restiamo sempre gli stessi. E la nostra vita diventa tiepida». Ecco allora un rapido test per verificare a che punto siamo: «Nel corso della giornata, quanti minuti dedichi a Gesù? E quanto tempo dedichi alle tue preoccupazioni? Spesso ci lasciamo prendere dagli eventi, dal “fare”. E non curiamo il nostro “essere”!».


“Sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui” (1Ts 5,10), ci esorta Paolo. «In tutto ciò che ci accade – ha spiegato p. Santo – dobbiamo vivere in sintonia con Gesù». Attraverso un metodo molto efficace, ma oggi un po’ dimenticato: le giaculatorie. «La giaculatoria è una freccia infuocata che tu lanci verso il Paradiso. Con la giaculatoria tu stacchi per un attimo la tua mente, il tuo cuore dalle cose, e affidi tutto a Gesù». È facile e veloce. Basta dire: “Gesù pensaci tu”, “Gesù confido in Te”. O qualunque altra frase che ci aiuti a pensare a Lui. Così impareremo a coinvolgere Gesù nelle scelte, piccole o grandi, di ogni giorno: «Chiediti: “Gesù è contento di questo? Sto facendo del bene alla mia anima?”. Perché i peccati di omissione sono anche questi: non fare del bene alla tua anima! Abituati a fare della tua giornata un attendere il Signore. Con le giaculatorie, e anche con l’offerta anche del tuo dolore. Stai con i piedi per terra, ma con il cuore sempre rivolto verso Dio».



E per concludere, il padre si è rivolto a Maria. Colei che ha portato la Luce del mondo sulle sue braccia. E, offrendola a Simeone, l’ha offerta a ciascuno di noi: «Ti saluto, o Vergine Immacolata, luce della mia strada, luce del mio salire. Accompagnami nel cammino con la tua luce. E alla fine della mia vita immergimi nella luce di Dio! Un Dio che per amore mi ha creato, per amore mi ha salvato e per amore mi farà entrare nella Sua luce”.



Una luce che, per splendere in tutto il suo fulgore, deve attraversare le tenebre. Ecco perché, prima della Messa serale, abbiamo camminato nel freddo e nel buio della sera. Per raggiungere la Cappella della Divina Misericordia. E lì ricevere la luce e il calore di una piccola fiamma. Che lentamente si è diffusa, dal cero del celebrante, per “contagiare” le candele di tutti. E attraverso una breve processione, ha illuminato la via. Fino a quando la luce piena ha invaso la cappella al momento della proclamazione della Parola di Dio: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105).




Nell’omelia p. Francesco ha sottolineato la dimensione mariana – oltre a quella cristologica – della Presentazione al Tempio. Spiegando il significato di un aspetto meno noto di questa solennità: la “Purificazione di Maria”. Una purificazione rituale a cui tutte le donne ebree erano tenute, quaranta giorni dopo il parto, a causa dello spargimento del sangue (cfr. Lv 12,1-8). Una purificazione non necessaria a Colei che, per un miracolo divino, era rimasta sempre vergine: prima, durante e dopo il parto. Una purificazione che per Maria si è trasformata in crescita attraverso il dolore: “E anche a te una spada trafiggerà l'anima” (Lc 2,35). È l’ombra della sofferenza preannunciata. Che vela per un attimo il fulgore della gioia. Insegnandoci che il dolore, se vissuto bene, può diventare per noi purificazione. E, come per Maria sotto la croce, donarci una nuova fecondità: “Donna, ecco tuo figlio!” (Gv 19,26).

Dopo Maria, il primo ad accogliere e donare questa Luce è stato un uomo. Scelto da Dio come fedelissimo custode del suo Figlio: il nostro caro san Giuseppe. Nel primo Mercoledì a lui dedicato, p. Francesco, commentando il Vangelo del giorno (Mc 6,1-6), ha sottolineato l’importanza di abbattere i muri del pregiudizio. Che spesso ci impediscono di accogliere Dio e i fratelli. Come è successo agli abitanti di Nazaret, che vedevano Gesù solo come “il figlio del falegname” (Mt 13,55). E si scandalizzavano di lui. Invece san Giuseppe ci rivela un cuore libero da ogni pregiudizio: davanti alla misteriosa gravidanza di Maria non si scandalizza né giudica, ma si preoccupa solo di difendere la sua sposa (cfr. Mt 1,18).

Al termine della celebrazione, la benedizione dei fedeli con la reliquia della santa del giorno: s. Agata. Luminosa martire, tanto amata nella nostra vicina Sicilia ma anche in tutto il Meridione. A lei, il cui nome significa “buona”, abbiamo chiesto di crescere nella virtù della bontà. E di diventare anche noi “martiri”, nel quotidiano, attraverso una testimonianza di fede credibile e coraggiosa.




Passare dalle tenebre alla luce. Per diventare luce. Ecco allora un’immagine semplice ma efficace, proposta ancora una volta dal nostro p. Santo Donato: “Quando ero bambino, spesso durante i temporali se ne andava la luce. Mia madre subito prendeva una candela, pronta nel cassetto. E quando tornava la luce era festa per tutti. Il peccato è rimanere al buio. Il peccato, soprattutto quello grave, ci toglie la luce, ci rende ciechi. Ma c’è una candela che possiamo accendere: la confessione. Con cui riconosciamo di aver sbagliato. E poi finalmente “tornerà la luce”: quando saremo nell’eternità. Dove ogni lacrima sarà asciugata. Dove non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno (cfr. Ap 21,4). L’ultima parola non sarà la morte, ma la vita. I nostri occhi vedranno il Signore. Vedremo la luce e saremo nella luce”.
