Può uno squallido bunker trasformarsi in una cappella? Può un luogo di tormenti disumani trasformarsi in cenacolo di preghiera e compassione? Può Auschwitz diventare l’anticamera del Paradiso? Sì. Questa la risposta decisa che ci offre s. Massimiliano Maria Kolbe. Una risposta scritta col proprio sangue. Sangue di martire. Sangue di sacerdote. Sangue di un uomo che si è fatto Eucarestia, fino alla fine, per tanti fratelli.
Un linguaggio iperbolico, superato, quasi imbarazzante. Così molti considerano gli arditi voli teologici con cui p. Kolbe ha scrutato, cantato, celebrato il mistero dell’Immacolata. E invece no. Non è così. Ce l’ha assicurato p. Antonio Carfì, Vicario della Fraternità e Mariologo. Che nel Triduo di preparazione alla solennità ha ripercorso i tratti essenziali della mariologia kolbiana. Mostrandone gli aspetti addirittura profetici rispetto a quella del Concilio Vaticano II. E ha aiutato la nostra comunità religiosa a riscoprirsi vera famiglia. Proprio a partire dall’esempio nel nostro amato patrono. Un santo sempre giovane, sempre attuale. Che ha amato immensamente Maria. E, attraverso Lei, si è conformato a Cristo. Fino al dono della vita.
Questo dono, che ha fatto di lui il primo “martire della carità”, abbiamo celebrato nella solennità del 14 agosto. Sin dalle prime ore del mattino un continuo afflusso di fedeli è stato accolto tra le mura della Cittadella. In molti si sono accostati al sacramento della Confessione. Abbiamo contemplato i misteri del Rosario accompagnati dalle parole di s. Massimiliano. Infine, la solenne concelebrazione eucaristica. Presieduta da p. Santo Donato, Fondatore e Custode della Fraternità. Tra i concelebranti, anche don Francesco Cristofaro e alcuni padri Cappuccini del convento di Taurianova (RC). Che hanno sottolineato, con la loro presenza, la vicinanza della famiglia Francescana, di cui anche p. Kolbe faceva parte.
“Homo homini Deus”. Questa la geniale intuizione con cui p. Antonio Carfì ha sintetizzato la testimonianza offerta da s. Massimiliano. Una svolta antropologica che ribalta radicalmente il cinico “homo homini lupus” del filosofo T. Hobbes. E propone, nella sua espressione più alta, la grandezza dell’uomo nella visione cristiana. Fino alle vette dell’eroismo. Sì. «L'uomo può essere per il suo fratello il volto di Dio. Questo è stato p. Kolbe nell'inferno di Auschwitz». Non solo offrendo la propria vita per uno sconosciuto. Ma anche continuando ad accompagnare, sino alla fine, i nove compagni di prigionia. Facendoli passare dalla disperazione alla pace. Dal terrore della morte alla serena attesa del Paradiso. Con la tenerezza materna di Maria, di cui era impregnato. «P. Kolbe è stato fedele fino alla fine al suo ideale: essere Maria. È stato veramente un'altra Maria. Ha dato ai fratelli il pane eucaristico dell'amore. Dando se stesso come Eucarestia (cfr. Mt 14,16)».
“Io sono vivo perché p. Kolbe mi ha amato”. Così Francesco Gajowniczek, il prigioniero salvato da s. Massimiliano, ha testimoniato in tutto il mondo. Ecco allora un’altra radicale rivoluzione. «Dal cartesiano “Cogito ergo sum” al cristiano “Amo, ergo sum”. P. Kolbe nell’offrire la sua vita non ha pensato. O meglio, non ha pensato secondo la logica dell’autoconservazione. Ma secondo la logica del Vangelo. P. Kolbe ha amato». E sulla scia di questa eroica offerta, anche noi, Piccoli Fratelli e Sorelle dell’Immacolata, abbiamo rinnovato la nostra. Offerta della vita, della giovinezza. Delle energie materiali, affettive, spirituali. Attraverso i tre voti di povertà, castità, obbedienza. E di totale appartenenza alla Vergine Immacolata.
Sempre commovente il momento del rinnovo dei voti. L’azzurro degli abiti si è intrecciato con il rosso vivo delle casule dei Fratelli sacerdoti. Per formare una gioiosa corona attorno all’altare e al nostro Fondatore. Che ha augurato ai suoi figli “la santa perseveranza”. Ringraziando poi tutti i presenti, specialmente gli Amici della Cittadella, che ne sostengono e promuovono la spiritualità: «Auguro a tutti voi di sperimentare la forza dell’amore di Dio. Un amore che crea, rinnova, pacifica, dà senso alla nostra vita. Sempre illuminati dalla Stella del mattino, l’Immacolata, e dall’esempio fulgido di p. Kolbe, uomo del sacrificio, della pace e dell’autentico amore».
Ed è stata proprio la Stella del Mattino ad aprire i nostri occhi, il giorno seguente, su orizzonti di Cielo. Perché la solennità dell’Assunta, ormai offuscata dalla crescente commercializzazione del “ferragosto”, ci porta proprio lì. In Paradiso. Nell’omelia per la Fraternità p. Antonio ha dipinto questo straordinario momento come l’abbraccio tra Maria e lo Sposo Divino. E p. Francesco, nell’omelia della Messa serale, ha rievocato le suggestive parole con cui s. Pio da Pietrelcina descriveva – forse per averlo contemplato misticamente – l’ingresso dell’Immacolata in Cielo: «L’anima beata di Maria, come colomba cui vengono spezzati i lacci, si disciolse dal suo santo corpo e volò nel seno del suo Diletto. Ma Gesù volle che la Madre sua, non solo con l’anima ma anche con il corpo si riunisse a lui e dividesse appieno la sua gloria».
Ad attingere la ricchezza spirituale della Cittadella dell’Immacolata sono venuti, tra i tanti pellegrini, alcuni gruppi. I giovani Scout di Rende (Cosenza), e i fedeli della Parrocchia Maria SS. Assunta di Tortorici (Messina), accompagnati da parroco don Simone Campana. La Cittadella è un segno piccolo ma potente della presenza di Maria nella nostra terra. E nei nostri “difficili tempi”, di cui s. Massimiliano è patrono, risplende come faro di fede e di speranza. In un mondo segnato da pericoli inimmaginabili di violenza e distruzione globale, Lei, come colonna luminosa, si staglia nelle tenebre. Annuncia, tra i chiaroscuri della storia, l’avvicinarsi del Sole divino. E diventa, per tutti noi, gloriosa Porta del Paradiso.