In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane.
Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?».
Questa mattina Gesù offre il Suo terzo insegnamento dalla barca di Pietro. Nel primo, durante la tempesta che aveva terrorizzato i discepoli (cfr. 4,35-41), Gesù aveva ricordato l’importanza della fede in Lui. Il secondo insegnamento lo aveva donato camminando sulle acque e dimostrando di non essere un fantasma, ma l’Io Sono/Dio che viene incontro all’Uomo. L’insegnamento di oggi parte da una considerazione che deve ferirci il cuore se vogliamo che davvero la Parola coverta la nostra vita. Infatti anche a noi oggi Gesù rivolge due domande: «Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito?». E cosa non comprendiamo? Quanto Dio ci ami davvero e veramente e concretamente si prende cura della nostra vita. Ma per comprendere questo è necessaria una conversione profonda e radicale perché spesso il nostro cuore si “indurisce”. I Padri chiamavano questa malattia la “sclero-cardia”, il cuore che si sclerotizza. E quando il cuore si indurisce non è più in grado di comprendere che Dio è Amore, perché il cuore - in senso biblico e non solo il muscolo cardiaco – è il luogo deputato a relazionarsi con Dio, insieme all’intelligenza e alla volontà. I discepoli sono preoccupati di aver portato con sé solo un pane sulla barca. E Gesù li (ci) rimprovera ricordando loro (e a noi) che è Lui il vero Pane di vita, capace di sfamare il nostro bisogno di amare e di essere amati e di dare un senso e una direzione alla nostra esistenza terrena, così bella e così fragile. Quella dei discepoli è la paura atavica dell’Uomo di morire! E questa paura/terrore fa sì che concentriamo l’attenzione sul cibo e sulle cose materiali, realtà che certamente non vanno disprezzate e svalorizzate, ma devono essere collocate in una sapiente scala di valori che tenga conto del principio affermato con autorità da Gesù nel corso delle tentazioni, allorquando era stato tentato proprio sul piano della fame: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Matteo 4,4). Per questo Gesù ricorderà la priorità che deve guidare la nostra vita: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Matteo 6,33). È questo un detto che risponde e orienta le preoccupazioni umane: «Non preoccupatevi dunque dicendo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?’. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno» (Matteo 6,31-32). Il lievito nuovo è proprio questa fiducia assoluta nel Padre nostro che sa di cosa abbiamo bisogno e provvederà al momento opportuno. È la fiducia in Lui la medicina contro la sclero-cardia! Per questo siamo chiamati a fare un buon esame di coscienza per capire quale “lievito” usiamo nella nostra vita. Sappiamo che il compito del buon lievito in cucina è quello di far fermentare la pasta, di “farla gonfiare verso l’alto”; immagine molto bella che ci ricorda come siamo chiamati a condurre verso l’Alto che è Dio tutto quello che viviamo: affetti, relazioni, interessi, gioie e perfino i dolori e le lacrime, tant’è vero che nel Vangelo delle Beatitudini ci viene annunciato che è possibile essere felici/beati anche quando le lacrime bagnano i nostri volti e i nostri cuori: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Matteo 5,4). Allora chiediamocelo: con quale lievito “impastiamo” i nostri pensieri, le scelte, gli affetti, le relazioni? C’è un lievito che produce morte e non “eleva verso l’Alto”: nel “mondo” si chiama “avere”, “potere”, “apparire”; negli ambienti religiosi si chiama “ipocrisia”, desiderio di una visibilità e riconoscibilità come persone “sante”, “buone”, “pie”, dimenticando il rimprovero caustico che Gesù rivolgerà proprio agli ambienti falsamente religiosi: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume» (Matteo 23,27). C’è invece il “lievito buono” il cui principio attivo è la fiducia che la salvezza viene gratuitamente ed immeritatamente da Gesù, Dio che si fa Pane e si offre a noi: «Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Giovanni 6,33). È il Pane che dà la Vita stessa di Dio: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Giovanni 6,54) e che ci fa fare “casa” nel Cuore di Dio e fa del nostro cuore la casa di Dio: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Giovanni 6,56). È quel Pane che ci riporta alle radici della nostra esistenza facendoci capire che è grazie a Dio che viviamo e che mette nei nostri cuori il desiderio di fare della nostra vita un dono filiale di amore al Padre e ai fratelli/sorelle in umanità: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me» (Giovanni 6,57). È questo il Pane che i discepoli di allora e, forse, anche noi oggi non comprendiamo fino in fondo.
Caro Gesù,
i Tuoi rimproveri sono così diversi
da quelli che fa “il mondo”,
che tante volte ci umilia
e ci fa sentire inadeguati,
mai all’altezza delle aspettative…
Nella Tua Parola,
anche quando ci scuote per svegliarci
da coscienze anestetizate
riscopriamo la natura delle nostre fami
che hanno tutte la stessa radice:
il bisogno di amare e di essere amati!
Noi ci concentriamo sui “pani”
di questa terra, che riempiono
la pancia, saziano per qualche momento,
ma spesso diventano duri
e a volte immangiabili…
Tu invece Ti offri a noi
come il Pane che scende dentro il cuore
e lo nutre, lo riscalda,
lo innalza verso l’Altro
e lo spinge verso gli altri,
perché è Pane che dà la vita
e crea comunione vera.
Aiutaci a comprenderlo,
il mistero e il dono gratuito
di questo Pane.
Aiutaci a condividerlo,
perché ci faccia diventare
operatori di pace e di bene,
uomini e donne fragili, sì,
ma dal cuore puro e misericordioso,
mite e umile come il Tuo.
E più nessuna tempesta,
più nessuna fame,
più nessuna paura
impedirà alla nostra vita
di raggiungere il fine di ogni cosa creata
che sei Tu, Pane vivo disceso dal Cielo.
Buona giornata a tutti! La Mamma Celeste ci benedica e sorrida sempre!