In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano».
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
Siamo giunti quasi alla metà del Vangelo di Marco che, ci spiegano gli esegeti, è una vera e propria catechesi battesimale che ha il compito di rivelarci chi è Gesù. La guarigione narrata oggi porta a conclusione la sezione cosiddetta dei “pani”; pani dei quali i discepoli non hanno compreso il significato (cfr. il Vangelo di ieri: 8,14-21). Domani ascolteremo la professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo che, a nome degli Apostoli, riconoscerà Gesù come il Cristo (cfr. 8,27-33). E tuttavia sappiamo che questa confessione di fede è ancora imperfetta perché subito dopo Pietro manifesterà la sua non piena comprensione del mistero del Cristo. Infatti rifiuterà l’annuncio della sofferenza. Pietro, come tutti noi, aspettava un Messia che avrebbe liberato il popolo dalla schiavitù dei Romani e lo avrebbe reso forte e indipendente e glorioso anche con la forza militare. Non si aspettava un Messia sofferente, sconfitto, rifiutato dal potere religioso e politico del tempo. A partire dal Vangelo di domani seguiremo un crescendo di incomprensioni dei discepoli verso il Maestro. Dopo una prima illuminazione (la confessione di Pietro che ascolteremo domani) dobbiamo giungere ai piedi della Croce dove sarà il centurione pagano a riconoscere l’identità del Crocifisso: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Marco 15,39). Ora il cammino di fede dei discepoli iniziato sulle rive del lago di Gennèsaret giunge a compimento nella fede del centurione pagano! L’identità del Cristo non è offuscata dalla Croce che invece rivela pienamente il Volto del Dio Amore che muore per noi. È in questo quadro che va inserito il racconto di oggi. Gesù opera una guarigione progressiva. Non è un miracolo istantaneo come quello operato per la suocera di Pietro (cfr. Marco 1,29-31) o del lebbroso (cfr. Marco 1,40-45) o del paralitico calato dal tetto grazie agli amici (cfr. Marco 2,1-12) o ancora dell’emorroissa (cfr. Marco 5,25-34) o, ancora, la risurrezione della figlia di Giàiro (cfr. Marco 5,35-43). Questa progressività rappresenta il cammino di conversione che dobbiamo compiere tutti. Perché Gesù rispetta la nostra libertà, agisce con delicatezza sulla durezza dei nostri cuori, non fa “forzature” perché l’Amore non si impone, ma ha bisogno di accoglienza e condivisione. E anche se non capiamo il fatto dei pani perché il nostro cuore è indurito Gesù non ci abbandonerà mai e con infinita pazienza continuerà a lavorare sugli occhi del nostro cuore perché finalmente possano vedere e riconoscere l’Amore infinito che Lui ha per noi. Quando leggiamo questo brano della Prima Lettera di Giovanni: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (3,1) diamo per scontato che sia così, che “lo vediamo” questo «grande amore», mentre spesso non lo vediamo per nulla e ci lamentiamo con Dio di essere stati abbandonati e castigati e puniti dalla Sua giustizia… Siamo ciechi! Questa è la verità! Anche quando come Pietro e con lui diciamo a Gesù: «Tu sei il Cristo» (Marco 8,29), poi nelle tribolazioni e nelle croci della vita ci ribelliamo e come i discepoli di Emmaus manifestiamo la nostra tristezza e delusione: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute» (Luca 24,21). Dunque anche il nostro cammino di illuminazione è progressivo. Quando abbiamo iniziato a seguire Gesù ci siamo accorti che il nostro sguardo sulla vita stava assumendo altre prospettive, altri punti di vista. Anche per noi c’è stato questo passaggio, dalle cose alle persone: «Vedo gli uomini, perché vedo come degli alberi che camminano». E più ci siamo lasciati conquistare dalla Parola di Gesù più lo sguardo del cuore si è perfezionato ed è avvenuta una maturazione del modo di vedere e vivere la vita: «fu guarito e vedeva dentro ogni cosa, chiaro e a distanza». La relazione con Gesù nella preghiera, nei sacramenti, nel “sacramento” per eccellenza che è per noi il fratello, la sorella che incontriamo ci porta ad acquisire l’“intelligenza spirituale”. L’etimologia della parola “intelligenza” rimanda al latino intus legere, che significa “leggere dentro, leggere in profondità”. Ci rendiamo pertanto conto che abbiamo bisogno urgentemente di questa guarigione da parte del Signore che ci aiuti a saper “vedere” ossia leggere dentro le cose che viviamo, la capacità di ricercare i significati ultimi delle nostre vicende. Alla luce di tutto ciò appare evidente che il contrario dell’intelligenza non è la “stupidità”, quanto la “superficialità”, malattia oggi estremamente diffusa e dannosa. Questo cammino alla sequela di Gesù non ci porta fuori dal mondo, ma ci educa a vivere “dentro” il mondo senza appartenere più alle sue logiche di morte e di violenza e di superficialità, rispondendo così con la nostra vita alla accorata preghiera che Gesù rivolge al Padre prima della Passione: «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità» (Giovanni 17,15-17).
Caro Gesù,
se è vero
che non c’è peggior
sordo di chi non vuol sentire,
è anche vero che
non c’è peggior cieco
di chi non vuol vedere…
Noi ci illudiamo di “vederci chiaro”,
di saper guardare bene
e ben decidere in base
a ciò che abbiamo visto.
In realtà siamo ciechi!
Tutte le volte che
non ci accorgiamo di quanto Tu ci ami!
Siamo ciechi:
tutte le volte che i nostri sguardi
e i nostri giudizi sono superficiali!
Siamo ciechi:
quando pensiamo di vedere bene
la pagliuzza nell’occhio dell’altro
e non ci accorgiamo della trave
che ostruisce i nostri occhi…
e i nostri cuori!
Siamo ciechi:
quando pretendiamo
di spiegare tutto con la scienza
e non comprendiamo che il Tuo Amore
sfugge ai microscopi più potenti,
agli strumenti di indagine più sofisticati,
ma non al nostro bisogno profondo,
radicale e per fortuna inguaribile
di amare ed essere amati.
Sì, perché il Tuo Amore
non si “dimostra” in laboratorio,
ma si “mostra” sempre
ai nostri sguardi increduli
dall’alto della Croce
e dentro le nostre croci da Te condivise…
per amore.
Buona giornata a tutti! La Mamma Celeste ci benedica e sorrida sempre!