In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
“Servire Dio” o… “servirsi di Dio” per sembrare più bravi, più santi, più grandi agli occhi degli altri? La disapprovazione di Gesù oggi è rivolta alla sua Chiesa. Mai è stato duro con i peccatori, mentre per gli scribi e i farisei, ossia i “professionisti del sacro” (oggi sono i religiosi, sacerdoti, catechisti, operatori pastorali…) spesso ha avuto parole di fuoco e di rimprovero. Il pericolo in fondo è sempre lo stesso: dimenticare che la legge è stata fatta per l’uomo e non l'uomo per la legge. Bisogna stare attenti a non perdere di vista il cuore di ogni legge o regola o precetto religioso che è l’amore! Se smarriamo questo principio facilmente trasformeremo gli stessi insegnamenti di Gesù in fardelli pesanti, in pietre taglienti e si sa che se si tirano le pietre la gente si scansa! Perché le leggi possano essere utili per l’uomo devono nascere dallo Spirito di libertà: solo così vengono dall’amore e portano all’amore che è il vero compimento della legge (Romani 13,10). Sentiamo che in gioco c’è la coerenza: dire e non fare! Insegnare e poi trovare gli escamotage per eludere gli insegnamenti! Potremmo dire: predicare bene e razzolare male. Quanta responsabilità abbiamo soprattutto noi “vicini” a Dio rispetto ai cosiddetti “lontani” (sta a vedere poi chi è davvero “vicino” e chi “lontano” …). Ecco che si cerca il consenso della gente piuttosto che l’approvazione di Dio nella nostra coscienza. Diventa più importante la visibilità e l’“apparire” piuttosto che l’“essere” veramente ciò che ci affanniamo ad apparire agli occhi degli altri. In altri termini, c’è una parola spesso presente nei rimproveri di Gesù: l’ipocrisia, che occorre sradicare dal nostro modo di essere. Meglio apertamente peccatori che falsamente santi: almeno sperimenteremo la Sua misericordia! Meglio mostrare le fragilità e le debolezze della nostra umanità piuttosto che apparire sempre forti ed irreprensibili: Dio infatti si manifesta proprio nella debolezza ed ha compassione delle nostre povertà! È ciò che insegna l’Apostolo Paolo: «Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2Corinzi 12,10). La medicina per guarire da queste malattie spirituali la offre Gesù stesso. Innanzitutto ci ricorda che siamo tutti figli del Padre e fratelli tra di noi. Esiste una sola paternità, quella di Dio, nel senso che solo Lui è principio di vita, solo Lui è la Vita. La ricerca del “principio” conduce sempre a Dio: «In principio era il Verbo, e il Verbo era verso Dio e il Verbo era Dio» (Giovanni 1,1). È l’invito a liberarsi urgentemente da quelle “paternità” ossia da quelle forme di dipendenza da persone e situazioni che oscurano in noi il senso della nostra radicale appartenenza a Dio. In secondo luogo la guarigione matura nel “servire per amore”, nel fare della nostra vita un dono sincero di noi stessi, senza calcoli di convenienza. Amare tutti per amore dell’Amore: sarà questa la vera grandezza dell’uomo.
Caro Gesù,
mi sa che oggi
dobbiamo chiederTi proprio scusa.
Per quelle volte
che ci siamo “serviti di Te”
anziché “servire Te”.
Per le maschere che indossiamo
perché non abbiamo capito
che Tu ami la nostra povertà.
Per usare la Tua Parola come una spada
con la scusa di correggere gli altri,
causando loro
ferite ancora più profonde.
Per quelle preghiere fatte
per mostrare agli altri che siamo credenti,
mentre in fondo il nostro cuore
è lontano da Te.
Per avere fatto tanti discorsi
forbiti ed eleganti “su” di Te,
senza avere mai davvero parlato “con” Te.
Per esserci sentiti grandi più di qualcuno
perché siamo “praticanti”
e ce ne siamo vantati disprezzando chi non lo è,
dimenticando che sarà il pubblicano al Tempio
a tornare a casa giustificato…
e non il fariseo.
Per esserci “esaltati” e aver preteso
riconoscimenti per i servizi
che svolgiamo nella Tua Chiesa,
dimenticando che l’unica via
per esserTi davvero graditi è l’umiltà
e il lavoro fatto nel silenzio.
Ricordaci ogni giorno
che l’unica unità di misura
della grandezza che conta davvero per Te
è il servizio per amore dell’Amore
e che l’unica altezza da raggiungere
con tutte le nostre forze
non è quella del nostro “io”
travestito da “dio”,
ma quella della Croce, luogo benedetto e santo
dove apprendere da Te, unico Maestro,
l’arte della vita.
Buona giornata a tutti! La Mamma Celeste ci benedica e sorrida sempre!