In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?
Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».
Nel Vangelo di ieri Gesù definiva la Sua identità: Messia sofferente che trasformerà la sofferenza dell’Uomo in un cammino verso la Vita eterna. Abbiamo visto la reazione impaurita e insofferente di Pietro rispetto a questo annuncio e il conseguente, terribile rimprovero di Gesù che accusa Pietro di ragionare secondo gli uomini e non secondo Dio (cfr. Marco 8,27-33). Dopo questa rivelazione della Sua identità oggi Gesù chiarisce l’identità dei Suoi discepoli di ogni tempo. Dobbiamo essere uomini/donne capaci di “rinnegare sé stessi”. Qui la psicologia moderna insorge accusandoci di alienare le persone, di “spersonalizzarle”, di privarle della propria identità… Non è quello che intende Gesù il quale piuttosto ci chiede di rinnegare il falso “io” che ci costruiamo fondato sull’egoismo che ha una radice comune a tutti: la paura di morire! E per questo mettiamo al centro il nostro “io” e lo difendiamo rivestendolo con una corazza di auto-referenzialità che ci illude di esorcizzare la paura della morte e che ci fa creare solitudini infernali. L’autoaffermazione di sé stessi è una forma di rinnegazione del Signore perché è negazione di essere creati a Sua immagine e somiglianza. Questo accade perché abbiamo coscienza della nostra piccolezza, fragilità, insignificanza e allora cerchiamo di costruirci un’immagine diversa di noi stessi, agli occhi nostri e degli altri, preoccupandoci di apparire ricchi, potenti ed orgogliosi. Si tratta di un vero e proprio inganno perché ci realizziamo davvero solo quando riconosciamo di essere amati gratuitamente dal Dio Amore e comprendiamo alla luce della vita di Gesù che la nostra vocazione è la risposta alla Sua accorata raccomandazione: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (cfr. Giovanni 15,12). Ecco perché l’annuncio drammatico della Passione si conclude con l’annuncio della vittoria definitiva sulla morte attraverso la Sua Risurrezione: «E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Marco 8,31). Se rinneghiamo noi stessi allora diventeremo capaci di “prendere la croce e seguire Gesù”. Cosa vuol dire “prendere la croce”? Cos’è davvero la “croce”? Immediatamente pensiamo a tutto ciò a cui sulla terra diamo la definizione di croce: malattia, sofferenza, limiti personali e degli altri; tutto ciò che ci fa soffrire… In realtà siamo chiamati a prendere “la croce di Gesù” che non è tanto il “legno” quanto la nostra umanità ferita mortalmente dal peccato. È questa umanità che Gesù assume nel mistero dell’Incarnazione e salva con la Sua Passione/Morte/Risurrezione! Allora seguirLo portando la croce significa due cose. La prima: devo “prendere” la mia croce, i limiti personali, le ferite della vita e devo accettare una buona volta ciò che non posso cambiare. Questa scelta mi porta finalmente a fare pace con me stesso, con tutto quello che non “mi piace” di me perché so che attraverso questo mondo oscuro di tribolazioni (delle quali umanamente vorrei fare a meno, come Pietro nel Vangelo di ieri…) si sta compiendo in me il mistero pasquale di Cristo! Tutto ciò che mi fa soffrire e che umanamente chiamo “fallimento” è stato condiviso da Gesù che portando la Sua Croce sulla via del Calvario in realtà ha portato le croci di tutta l’umanità di ogni tempo e di tutto ciò che su questa terra mi sembra una sconfitta e una condanna senza appello in realtà Dio se ne servirà per un Suo disegno di amore e di salvezza. Ecco perché Gesù ci dice: «Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?». Tutti vorremo essere “felici” su questa terra, ma sappiamo che l’esistenza terrena è fragile, passa in fretta. Bellissima a tal riguardo l’immagine che ci offre il Salmista: «Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte. Tu li sommergi: sono come un sogno al mattino, come l’erba che germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca» (Salmo 90,4-6). Arriva presto “la sera” per ognuno di noi e ciò che fa la differenza non è se abbiamo avuto tribolazioni o benessere nella nostra vita, ma se tutto quello che abbiamo vissuto lo abbiamo vissuto con Gesù! Dunque il primo modo di portare la croce consiste nell’accettare come un dono di Dio anche la nostra umanità fragile. Potremmo intravedere anche una seconda prospettiva: se la Croce che Gesù porta sulla Sue spalle è la nostra “umanità” ferita mortalmente dal peccato, seguirlo significa aiutarLo a portare non solo la nostra, ma anche la fragilità degli altri! È impressionate l’identificazione che Gesù fa di Sé con ogni essere umano, soprattutto con le categorie più fragili: «Allora i giusti gli risponderanno: ‘Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?’. E il re risponderà loro: ‘In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’» (Matteo 25,37-40). È ciò che insegna l’apostolo Paolo: «Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Colossesi 1,24). Ora sappiamo che la sofferenza è sempre un bivio: o ci porta a ribellarci e ad indurire il cuore accusando perfino Dio di essere il “mandante” dei nostri patimenti oppure possiamo leggerli come uno strumento provvidenziale che ci consente di essere cooperatori di Gesù nel far giungere le Sue grazie agli uomini. Si tratta di “offrire” ciò che viviamo con uno spirito di fede, nella consapevolezza che neppure una sola nostra lacrima andrà perduta, anzi sarà un contributo al nostro cammino di santità perché nel dolore sperimenteremo la consolazione di Dio: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Matteo 5,4). L’unione delle nostre sofferenze a quelle di Cristo farà sì che questo povero mondo si salvi. È quello che ci insegna e consegna la spiritualità dei pastorelli di Fatima ai quali la Madonna aveva chiesto la disponibilità ad offrire le loro sofferenze a Dio in favore dei peccatori per i quali nessuno prega o si sacrifica. Se ci fidiamo della Parola di Gesù allora supereremo la paura della morte, saremo liberati da quelle pesanti catene che trattengono la nostra carità ed impareremo a “perdere la vita” perché sappiamo che l’unico modo per “salvarla” non è quello di conservarla gelosamente nella cassaforte blindata dell’egoismo, ma donarla nell’amore, nei piccoli gesti altruisti di ogni giorno. Tutti gli uomini sanno che dobbiamo morire, noi cristiani sappiamo però anche che la morte è stata vinta per sempre dall’Amore!
Caro Gesù,
Tu lo sai,
abbiamo paura della sofferenza,
ci terrorizza la certezza
di dover morire…
E per questo spesso
chiudiamo la nostra vita
nei cassetti blindati dell’egoismo,
chiusi a doppia mandata
dalle paure e dall’illusione
di prolungarci l’esistenza
risparmiandoci nel dono di noi stessi.
Tu invece, come sempre,
vai controcorrente,
e ci spiazzi, ci sorprendi,
perché ci dici che l’unico modo
per realizzare la nostra vita
non è quello di “congelarla”
nell’egoismo e nell’autoreferenzialità,
nell’illusione di costruirci vite
al riparo assoluto dalle tribolazioni
e dalle sofferenze.
Ci spiazzi, Gesù, perché
ci dici di “prendere” tutto ciò
dal quale istintivamente fuggiamo,
tutto ciò a cui su questa terra
diamo il nome di “croce”.
E fuggiamo perché non abbiamo capito
che il Tuo non è
un invito al masochismo,
non è un invito a “prendere il dolore”.
No, il Tuo è l’invito a prendere
l’amore col quale Tu hai portato
la Croce e le croci di tutti!
E allora comprendiamo
che siamo chiamati ad essere
discepoli dell’Amore
e non seguaci del dolore fine a sé stesso.
Ci sentiamo attirati da Te,
Crocifisso Uomo dei dolori,
perché sappiamo che solo in Te
i nostri dolori trovano consolazione,
le nostre fragilità una forza nuova,
le nostre morti la Risurrezione.
Sappiamo che solo in Te
le nostre viae crucis
diventano viae lucis,
cammini pieni di speranza
verso la Vita senza fine.
Buona giornata a tutti! La Mamma Celeste ci benedica e sorrida sempre!