In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Si può fare il bene anche senza far parte della Chiesa? Grazie a Dio, sì! Il brano di oggi amplifica il problema evidenziato ieri quando ogni discepolo portava avanti il proprio “io” nella pretesa di essere “più” grande degli altri. Nel brano di oggi la malattia dell’“io” diventa quella del “noi”. Ossia la pretesa che il “nostro” gruppo sia migliore di un altro! Questo ci fa comprendere una cosa fondamentale: che si tratti dell’“io” o del “noi”, se seguiamo noi stessi e non Gesù allora saremo causa di divisione e non di unità. Tutte le volte che l’Uomo ha la pretesa di “farsi un nome grande e più grande di qualcun altro” la confusione e l’incomprensione tra di noi regnano sovrane. Ne è un esempio illuminante la storia della costruzione della Torre di Babele: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra» (Genesi 11,4). Dopo il peccato originale, questa sarà sempre la pretesa che cercherà di abitare e agitare il cuore dell’Uomo: farsi “un nome”, ossia diventare grandi con le proprie forze, alla ricerca di un’unità di intenti che è solo patetica illusione perché in realtà ci sarà sempre qualcuno “più” forte che dominerà gli altri. La storia è piena di rivoluzionari che hanno finito per diventare dittatori! Ecco perché Dio confonderà le lingue degli uomini di Babele: «Il Signore disse: ‘Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro’» (Genesi 11,6-7). Potrebbe sembrare una cosa sbagliata “confondere le lingue”, ma in realtà è un’azione provvidenziale del Creatore perché in quella illusoria unità di linguaggio si nascondeva (e nasconde oggi) la volontà di uniformare il pensiero, di condizionare e limitare le libertà, di imporre un pensiero unico… Tutti elementi costitutivi di quella che oggi viene chiamata “la dittatura del pensiero digitale”. Dio “confonde” le lingue per creare la bellezza delle differenze, la complementarietà dei talenti, la ricchezza delle diversità che si completano. E infatti questa opera di “confusione delle lingue” verrà risolta con il dono della Pentecoste allorquando il dono dello Spirito Santo renderà tutti gli uomini – di provenienze e lingue diverse – capaci di parlare l’unico linguaggio della carità (cfr. Atti 2,1-13). Ecco perché la richiesta di Giovanni: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo impedivamo, perché non ci seguiva» è giudicata da Gesù assolutamente inopportuna! Perché la pretesa dell’esclusività “del proprio nome” (personale o collettivo) è principio di divisione. Solo il Nome di Gesù – che ci rivela il Nome di Dio che è Padre – è garanzia di unità, amore, comunione. Lo dirà Lui stesso nel Cenacolo prima della Passione: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. […] Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» (Giovanni 17,6-8.11). Lo ribadirà con grande forza e autorità l’Apostolo Paolo: «Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: ‘Gesù Cristo è Signore!’ a gloria di Dio Padre» (Filippesi 2,9-11). Gli Apostoli sono ancora un gruppo di egoisti che pensano di “possedere” Gesù, di poterLo in qualche modo condizionare (cfr. Marco 8,32), di “usarlo” per i propri scopi, anche religiosi; basti pensare alla delusione delle attese dei discepoli di Emmaus che si aspettavano un Messia vittorioso e lo vedono invece appeso ad una croce: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Luca 24,21). C’è un’altra cosa da evidenziare: il disappunto dei discepoli è dato dal fatto che chi scaccia i demoni nel Nome di Gesù «non ci seguiva», ossia non seguiva loro! Non sono felici del bene che compiono e che delle persone sofferenti nello spirito ritrovavano la pace… No! Si preoccupano piuttosto del fatto che “non seguono loro”. Gesù allora ci insegna a condurre a Lui le persone che evangelizziamo piuttosto che farle “fermare a noi”. È Lui che salva, non noi! Dobbiamo vincere la tentazione di “servirci di Gesù” per mettere la nostra vita al “servizio di Gesù”. Dobbiamo costantemente vigilare per applicare a noi stessi la regola fondamentale della vita spirituale consegnataci dal Battista: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Giovanni 3,30). È questa la via maestra per diventare costruttori di vita fraterna, di comunione tra di noi evitando così le appartenenze a questo o a quel gruppo, a questa o a quella persona con scelte che si rivelano divisive, come ci insegna Paolo: «Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio» (1Corinzi 3,4-9). Quando il “noi” ecclesiale ha al centro sé stesso nascono i problemi nelle comunità. Quando il “noi” ecclesiale si fonda sulla Roccia che è Cristo allora le nostre comunità, pur restando imperfette, diventano luoghi dove si fa veramente esperienza dell’Amore di Dio e insieme si lavora per l’edificazione del Regno di Gesù in mezzo a noi.
Caro Gesù,
oggi dobbiamo fare autocritica…
soprattutto noi i “credenti”,
i “professionisti del sacro”.
Sì, perché siamo ridicoli
quando pensiamo
di avere l’esclusiva su di Te;
quando, vantandoci di “avere fede”
ci illudiamo di essere gli unici
capaci di fare il bene…
nel Tuo Nome.
Siamo ridicoli,
quando pensiamo
di avere capito tutto di Te
e di essere gli unici
capaci di spiegare al mondo chi sei!
Siamo ridicoli
quando ci preoccupiamo
e ci arrabbiamo
se la gente “non segue noi”,
dimenticando che anche noi
polvere siamo e polvere torneremo;
mentre unica nostra preoccupazione
deve essere quella di annunciare Te
e poi “scomparire” per non ricevere
una gloria che tocca solo a Te!
E allora Ti preghiamo:
immergici nella Tua umiltà,
riaccendi i nostri cuori
al Roveto Ardente della Tua Parola,
metti a dieta le nostre smanie di protagonismo
perché passiamo finalmente
dall’“io” a “Dio”.
E ciò che faremo
profumerà di Te,
rimanderà a Te
e anche noi come il Battista
saremo felici di “diminuire”
perché Tu possa davvero crescere
in noi e nei fratelli che incontreremo
lungo le strade polverose della vita.
Buona giornata a tutti! La Mamma Celeste ci benedica e sorrida sempre!