In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».
E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.
Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
Il brano di oggi è tra i più conosciuti: la moltiplicazione dei pani e dei pesci. E come ogni brano evangelico ci dice sempre due cose: chi è Dio e chi siamo noi!
Gesù è la compassione del Padre fatta carne. Dio ha sempre compassione di noi. E più volte abbiamo spiegato che questa compassione è narrata attraverso dei termini (ebraici e greci) che rimandano alle viscere di una madre: Dio per noi prova ciò che una madre prova per le proprie creature nel grembo; tenerezza e amore infiniti.
E chi siamo noi? L’Uomo è colui che inizia la sua esperienza su questa terra a partire dalla sua “fame”. Per questo Dio aveva creato l’Eden con tutta la straripante e generosa ricchezza di cibo per l’Uomo. Perché l’essere umano nasce come l’Affamato, di cibo e di amore.
Ancora: chi siamo noi? Pecore senza pastore! O pecore che seguono altri “pastori” che in realtà sono briganti e ladri di gioia e di vita, come ci avvisa Gesù: «Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti. […] Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore» (Giovanni 10,8.12-13).
Chi è Dio alla luce di questo Vangelo? È Colui che offre soluzioni ai problemi.
Chi è l’Uomo? È colui che trova problemi anche nelle soluzioni…
Già… Osserviamo infatti il comportamento degli Apostoli: fanno di tutto per “liberarsi” del “problema” ossia della folla affamata. Rileggiamo la loro proposta: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». La folla è il problema! Se lo risolvano loro il problema del cibo… Liberiamoci della folla e ci libereremo anche del problema.
Il ragionamento, umanamente parlando, non fa una grinza. Ma non collima col pensiero di Gesù! Il quale risolve la situazione servendosi del “problema” che ora è diventata la resistenza dei Suoi discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Prima ancora di indagare su “quanto cibo” disponessero, Gesù sta dicendo che la soluzione al problema è innanzitutto la disponibilità dei Suoi discepoli a farsi carico del problema. Solo successivamente chiede di quanto cibo è possibile disporre! Prima è necessario che i discepoli non fuggano dal problema o si liberino del problema mandando via la folla.
Ciò che Gesù dice è semplicemente stupendo: «Voi stessi date loro da mangiare», che significa due cose: la vostra disponibilità a vivere il problema con chi soffre è la prima forma di “cibo” da offrire. Sta dicendo ai Suoi discepoli: la vostra carità è la prima forma di cibo da offrire; il vostro essere pronti a farvi carico della “fame” della folla farà sentire accolta ed accudita questa moltitudine di persone affamate e la sottrarrà alla paura di “morire di fame”.
Gesù oggi dice a me e a te: sii tu stesso cibo per chi ti sta accanto. E alla probabile nostra protesta: “ma sono povero, ho già tanti guai nella mia vita… non ne ho neanche per me” … Gesù risponde: dammi quel poco che hai e lo moltiplicherò! Non è dunque questione di cibo o di risorse materiali o morali… Ciò che manca davvero è la fiducia assoluta nel fatto che Gesù stesso continua a prendersi cura dell’umanità servendosi di uomini e donne, poveri come me e te, ma che desiderano mettere quel poco che hanno a disposizione dell’Amore che tutto trasforma e moltiplica!
Solo dopo questa consegna della nostra persona all’Amore è possibile diventare coloro che “distribuiscono” le risorse. Ecco il secondo senso del «Voi stessi date loro da mangiare». Ed è molto significativo anche il gesto che Gesù compie all’inizio del miracolo: «alzò gli occhi al cielo …». Il Figlio di Dio esprime la sua comunione col Padre che lo ha inviato sulla Terra. Ogni miracolo di Gesù è sempre il frutto della Sua relazione filiale col Padre Suo e nostro, proprio come ci ha insegnato a pregarLo.
Pertanto non lasciamoci scoraggiare dalla quantità di problemi che ci affliggono. Cambiamo atteggiamento interiore: non diciamo più a Dio quanto sono grandi i nostri problemi… Piuttosto iniziamo a dire ai nostri problemi quanto è grande il nostro Dio che è Padre ed ha cura di tutti i Suoi figli. Il miracolo che dobbiamo chiedere non è tanto quello di moltiplicare il cibo, giacché le possibilità economiche e tecnologiche di oggi sono grandissime. Piuttosto chiediamo il miracolo di ridonare ai nostri cuori la “volontà di condividere” che è quella che l’egoismo e l’avidità e la cupidigia stanno cercando di spegnere definitivamente in noi.
Caro Gesù,
anch’io Ti avrei chiesto
di congedare la folla
e di liberarmi dal “problema”
della loro fame.
E nel momento in cui l’ho pensato
ho visto per un attimo
tutto il mio egoismo,
la mia paura di non essere “abbastanza”,
di non farcela.
Poi ho rivisto tutte le volte
che Tu sei venuto
incontro alla mia “fame”
attraverso qualcuno, povero come me,
che se ne è fatto carico.
E capisco che continui
ad agire nel mondo
attraverso le nostre povertà.
E non mi sono sentito più solo!
E se le mie mani,
restano ancora povere e vuote,
sento che qualcosa è avvenuto
nel mio cuore che ora è guarito
perché ha sperimentato la Tua compassione.
Non posso più chiudere gli occhi
sui bisogni di chi mi sta accanto;
non posso più passare “oltre” le povertà,
ma devo farmene carico,
per essere un “samaritano”
non certamente buono come Te,
ma desideroso di lasciarmi coinvolgere
dalla Tua compassione.
E allora non Ti chiedo
di moltiplicare le mie risorse,
ma di ferire il mio cuore
con la Tua tenerezza verso gli uomini,
di sciogliere il gelo
delle indifferenze e delle paure
riscaldandomi al Roveto ardente
della Tua compassione.
E nessuna persona che incontrerò
andrà mai più via
a mani e cuore vuoti.
Buona giornata a tutti! La Mamma Celeste ci benedica e sorrida sempre!