Tra il padre e la madre. Così stiamo vivendo gli ultimi giorni di Quaresima. Tra il padre putativo di Gesù: il nostro caro san Giuseppe. E la Madre: la Vergine dei dolori. Colei che più di ogni altra creatura ha condiviso la Passione di Cristo. Paternità e maternità consolano la nostra condizione di orfani e di naufraghi. Ci ricordano che non siamo in balìa di un cieco destino. Ma nelle mani di quel Padre di cui san Giuseppe è splendida icona. E tra le braccia di quella Madre di cui san Giuseppe fu dolcissimo e purissimo sposo.
Paternità e maternità nascono dalla sponsalità. La riscoperta delle nozze cristiane, la formazione permanente degli sposi, la condivisione frequente della preghiera e delle esperienze di vita. Tutto questo ora ha un nome: “Nozze di Cana”. Nel grembo della Cittadella, sotto il dolce sguardo di Maria, sono rinate e rinasceranno ancora a vita nuova numerose coppie. Un percorso iniziato sabato 16 marzo, primo giorno del Triduo a san Giuseppe. Semplice casualità? No. Disegno provvidente di Dio in favore di quella sua creatura prediletta, oggi tanto minacciata: la famiglia. Di cui la santa Famiglia di Nazareth resta sempre il luminoso modello.
Nel pomeriggio una sessantina di coppie si sono radunate per la catechesi di p. Antonio Maria Carfì. Un ricco excursus tra le pagine bibliche per esplorare la dinamica della tentazione. E i mezzi per vincerla. Dal peccato originale alla vicenda di Davide e Betsabea (cfr. 2Sam 11). Per poi entrare nell’abisso dei sette vizi capitali, veleni dell’anima e della famiglia. Nemici da sconfiggere con la potenza della Parola di Dio. Dopo una preziosa condivisione di esperienze e proposte, le coppie si sono dissetate alla sorgente stessa dell’Amore: Gesù-Sposo, realmente presente nell’Eucarestia. Da Lui si sono lasciati attirare, per rinascere a vita nuova e rilanciarsi nel mondo come piccole scintille dell’amore divino. Che è amore sponsale.
E questo amore “eccessivo” ha nutrito tante anime anche domenica 17 marzo. Attraverso il ritiro di Quaresima, pensato per consacrati, novizi e postulanti laici dei “Pellegrini dell’Immacolata”. Ma anche per moltissimi altri amici – con un’affluenza ininterrotta per tutta la giornata – che si sono uniti a noi. Nella Messa mattutina p. Santo ha affrontato il delicato tema della volontà di Dio: «È vero che l’uomo è stato creato libero, ma la libertà assoluta non esiste. Tu non sei il padrone della tua vita. Il chicco di grano che deve morire per dare frutto (cfr. Gv 12,24-25) sei tu, sono io! E cosa deve morire di me? Il mio amor proprio, la mia volontà malata di egoismo. Per far nascere in me il progetto di Dio, la volontà di Dio». E p. Francesco ha presentato la croce di Cristo come unico strumento di vera libertà e pace. Una croce che dopo la Messa abbiamo adorato insieme, quasi anticipando la liturgia del Venerdì Santo.
Dopo l’allegria del pranzo condiviso, è ancora sulla croce di Cristo che si sono fermati i nostri sguardi. Grazie alla ricca catechesi di p. Giuseppe Saraceno, docente di teologia dogmatica presso il Seminario e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Reggio Calabria. Uno sguardo contemplativo, intenso, sui principali momenti della Passione. Per concludere con il “parto” doloroso di Maria sul Calvario (cfr. Gv 19,25-27). Proprio questa Madre addolorata ha guidato i nostri passi per le vie della Cittadella. Attraverso il percorso orante della Via Matris abbiamo ricordato i sette dolori della Vergine. Affidandole con fiducia filiale i nostri dolori, perché siano associati a quelli di Cristo per la redenzione del mondo (cfr. Col 1,24).
E ora siamo pronti per lasciare che la penombra del cammino quaresimale sia squarciata da un raggio di luce: lo splendore del più grande dei santi. Il padre tenerissimo che ha custodito il corpo di Gesù nella sua infanzia. Quel corpo che Egli donerà a noi nel sacrificio pasquale.